Poesie di don Giuseppe Fedele per Maria e per Maria Maddalena

A Te, che del mio letto custode purissima sei,
con le socchiuse ciglia su le congiunte mani
prima che il sonno accheti le cure inquiete del giorno
volgo, ogni sera, gli occhi, l’anima tutta dono. Supplico:
‘O benedetta tu sempre fra tutte le donne,
prega per me e, ne l’ora de la mia morte prega’.
Fra le tue ciglia allora, mi par che, per me, si raccolga.
E, luminando, implori l’anima tutta tua;
e dal mio cuore parte (se l’ultimo fosse!) un sospiro,
alle mie labbra esala col nome tuo, Maria.

La bella lirica A Te, trasfigurata in preghiera (il testo in Rosalba Anzalone nel saggio Giuseppe Fedele da Monreale e la gente del baule, 2021), fu scritta da un sacerdote siciliano dell’otto-novecento alieno dall’acclamazione risonante e dalle parole gridate, portato dal suo ingegno e sensibilità a poetare facilmente in uno stile semplice e ‘intimista’ che descrive situazioni di vita comune e i sentimenti.
Se ne avverte il gusto in altri suoi versi: quelli, ad esempio, nel poemetto Jesus – Maria di Magdala (1905). Il commovente momento interiore descritto è quello in cui la donna incontra il Salvatore.

A Magdala, un mattino, Egli venia
con gli occhi intenti, come un uom che affissa
continuamente una sua lunga via.
Ventilava la sua veste prolissa
ne l’andare de l’agile persona,
e, fra le ciocche della chioma scissa,
s’aprian le braccia al gesto che perdona.
Ognun sostava, ognuno, al suo passare
si mesceva alla turba umile e buona.

Amatevi l’un l’altro con purezza
di vita e tutti, in un abbraccio pio,
accogliete chi v’ama e chi vi sprezza.
Questo io vi dico e questo è il mio desio:
amatevi l’un l’altro! ... E chi mi sente,
esulterà vedendo il giorno mio.

Egli parlava ed ella, a Lui davanti,
ascoltando rapiasi tutta ardore,
e nel lume de’ grandi occhi stellanti
e su’ labbri dischiusi, ebbra d’amore
a lei tremava l’anima, sì come
tremola la rugiada sopra un fiore.
E que’ labbri parean spirare un nome.

Don Giuseppe Fedele di Monreale oggi è poco conosciuto e la ragione è forse perché visse in tempi controversi e quasi mai studiati con sguardo limpido o perché fu un sacerdote e al riguardo, per una certa critica, ha valore il pensiero perentorio del Carducci: “La poesia non è cosa per donne e per preti!” (sic!)
Nel saggio di Rosalba Anzalone però ottiene un po’ dello spazio che gli spetta e appare anche in internet nella significativa rubrica “Ci ricordiamo di loro” di Monreale News, che ne riporta la biografia.
Don Giuseppe – si riassume – nacque a Monreale il 5 novembre 1878, frequentò il Convitto dei Chierici Rossi della città, entrò nei ranghi della Chiesa cattolica nel 1894 e fu sacerdote nel 1901. Insegnò quindi italiano e latino negli istituti palermitani, pubblicando nel contempo le sue liriche e raggiungendo la notorietà nel 1905 con il poemetto Jesus, apprezzato da letterati e critici. Conseguita poi la laurea in Lettere e Filosofia all’Università di Napoli, dette vita tra il 1911 e il 1915 al quindicinale letterario Il Solco e nel 1914 fondò a Palermo l’Istituto “Torremuzza” dove ospitò la sede e gli incontri culturali dell’Associazione Palermitana Educatori e Scrittori. Nel 1936 pubblicò la raccolta Liriche. Nel 1938 fu rettore del “Convitto Guglielmo II” di Monreale. Morì pochi anni dopo, il 7 gennaio 1941.

I contemporanei scrissero di lui:
... “scrittore e poeta di buon valore e sentimenti cristiani” (Giovanni Casati, Dizionario degli scrittori d’Italia, 1926).

“Il suo volume Jesus ... contiene squarci di vera e forte poesia, pagine di gran forza descrittiva, sebbene talvolta il giovane scrittore si piaccia affogare l’onda poetica negli evidenti lenocinii del ritmo e della rima” (Teodoro Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei, 1922).

“Il poeta, un ingegno e un’anima veramente di poeta (ed è il nostro un prete!) interpretando le parole del testo: Maria, sedens secus pedes Domini, audiebat verbum illius (Luc. X, 39), raccoglie i punti principali della dottrina evangelica come se l’insegnamento di Gesù fosse dato in un sol discorso, e questo detto nella casa di Betania. La licenza sta bene al poeta, e la dottrina ci guadagna per la impressione che fa in un cuore di donna innamorata” (Giuseppe M. Zampini, Piccole note di grandi cose divine – Il comandamento nuovo di Gesù, Fede e scienza 1907).

Una lunga e interessante recensione fu scritta anche da Luigi Capuana (1839-1915), teorico del Verismo (Libri di poeti, La Nuova Parola, 1906):
Nella speranza c'è proprio poesia. La scena della tempesta e di Gesù, dormente in fondo alla barca sbattuta dalle onde, e il grido dei discepoli: ‘Maestro, salvaci!’ non rimane narrazione pura e semplice: diventano immagini e sentimento in una. Ecco:

È la voce dei secoli dolenti
questa che grida, senza mai cessare,
fra marosi giganti in preda ai venti.

Fumide e nere gravano sul mare
le nubi e su l'ondante navicella
che ora assorge tra i flutti ed or scompare.

Fiera ululando incalza la procella,
e fra guizzi dei lampi e la fremente
ira dei nembi il mare urge e flagella.

E grida e grida disperatamente
ne l'orrore dei secoli nefando,
la voce : «Deh ! periamo, o bel Dormente,

salvaci, deh, periam ! ... » quasi aspettando
che dal sonno il divino occhio si sveli
su le tempeste, e nel suo riso blando

torni il sorriso dei nascosti cieli.

Raccolto da Paola Ircani Menichini,
8 settembre 2023. Tutti i diritti riservati.




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